la mia proposta per Roma
Tutto il potere alla cultura!
Però intendiamoci.
La cultura non è il risultato conseguito il quale “si sanno tante cose”, bensì è piuttosto il processo di conseguimento di qualcosa. Il processo, quindi, non il risultato.
E comunque il frutto di quel processo non è certo “assommare nozioni” – questa sarebbe un'analogia con l'accumulazione di beni materiali che, al contrario, ha ben pochi punti di contatto con “il culturale” (mentre ne ha tanti, non sorprendentemente, con le scelte esistenziali indotte dal sistema). No, il frutto di quel processo è un duplice “gesto”: soggettivo individuale, muovendo il quale l'essere umano si riconosce in quanto tale – “umano”, appunto –, e oggettivo sociale grazie a cui io riconosco gli altri umani in quanto tali anch'essi. “Tutti” gli altri: non solo quelli parlanti la mia stessa lingua o lo stesso dialetto, non solo quelli col colore della pelle e i tratti somatici come i miei, non solo quelli della mia classe socioeconomica, non solo quelli con la mia stessa storia, non solo quelli nati nella mia città o che incontro abitualmente nel quartiere, non solo quelli con le mie credenze o con i miei stessi valori, non solo il mio stesso sesso, non solo la mia generazione.
Tutti esseri umani in quanto tali, io essere umano come loro.
La cultura – non scopro nulla, credo – è il processo di conseguimento di queste due “verità”, che diventano sempre più naturali e indubitabili proprio nella misura in cui il processo si accresce e si affina: tanto più si diventa “colti” – e non si finisce mai di diventarlo.
La cultura non è altro.
E ovviamente, così definita, è tantissime cose molto diverse tra loro: tutti gli studi, tutte le riflessioni, tutte le elaborazioni, tutte le esperienze, tutti gli incontri, tutti i confronti, tutte le tradizioni, tutte le innovazioni, tutte le contaminazioni, tutte le creazioni, tutte le codificazioni. Purché fatto “a mente e a mani e a cuore aperti”.
Ed è l’unica fonte di empatia con chi non è “me” o “come me”: l’altro sesso, le altre generazioni, le altre fasce sociali, gli stranieri, i migranti, gli “zingari”.
Il contrario è facilmente provato: i “barbari” vecchi e nuovi, trattandosi tutti di incolti profondissimi – orgogliosamente e quindi inemendabilmente – non riescono a empatizzare di fatto con nessuno che non sia come loro un piccolo-borghese livoroso, egoista, conformista e, al dunque, oggettivamente organico al sistema stesso. Il quale in primo luogo mette umani contro umani, e tipicamente tende a separare gli umani consapevoli di esserlo dagli altri che non lo sono ancora, instillando in questi ultimi una diffidenza verso i primi che fa leva facilmente sugli istinti più gretti, su una permanenza degli aspetti deteriori dell'animo infantile anche nell'età adulta; col risultato che la cultura soffre a diffondersi, e da lì dove si ferma in poi il potere muove la gente a proprio piacimento. E in secondo luogo, mette – diciamo così – ciascuno contro se stesso: l'uomo senza cultura è inconcluso come progetto, ha dell'umano solo i costi – sapersi finito, saper irrealizzabili i propri desideri, patire anche solo a immaginare il patimento proprio e dei cari – ma non ne ha alcun vantaggio: la dignità, la libertà, la fiducia, la fantasia, il rispetto di sé; però un umano amputato a tal punto è la riserva ideale per le grandi manovre del potere sulla scena della Storia: è il prodotto seriale, depresso, impotente benché incarognito, di un sistema di produzione e consumo che non prevede originali, ma soltanto copie.
L'universo della cultura, ecco, è un universo di prototipi; è fatica, ma è gioia.
Purtroppo, per mille motivi, ci è stato inoculato il messaggio che non ci si deve fidare di chi “sembra saperne troppo”, ossia che quelli ai quali è riconosciuto un qualche “sapere” fanno parte di una sorta di complotto contro la gente, ossia che senza più questi scocciatori presuntuosetti tra i piedi si starebbe meglio – tutti "uguali”. Appunto: tutte copie.
Ma questa “strategia” è un fenomeno miseramente provinciale, e la cultura invece corre su latitudini e longitudini abbracciando il pianeta intero, e il suo orologio batte le migliaia di anni come il mio i minuti.
Quindi, basta aver la pazienza di continuare a respirare.
Forse non sembra, ma la “madre di tutte le vertenze” è questa qua.
Ecco perché prendo l’impegno solenne con chi mi vota: farò, da consigliere comunale di Roma, tutto quanto è in mio potere perché il maggior numero di cittadine e cittadini romani, di residenti, di stagionali e di visitatori, abbia la maggiore e migliore, più continua e intensa frequentazione possibile con la cultura in tutte le sue forme.
Quindi, ecco la mia proposta specifica.
La quale prima richiede un piccolo esercizio di fantasia. Proviamo a sovrapporre mentalmente la mappa di Roma con un planisfero, e proviamo a “vedere” a quali aree geografiche corrispondano – più o meno – i 15 Municipi della nuova ripartizione amministrativa della città. Scopriremo in effetti che giusto in quindici macro-zone geo-culturali diverse la superficie della Terra potrebbe considerarsi suddivisa: tre ciascuna per l’Europa, l’America, l’Africa, cinque per l’Asia e una per l’Oceania. E senza difficoltà potremo, accostando le due cartine, trovare le seguenti “prossimità”:
Nord America XIII
America Centrale XII
Sud America XI
Europa Nord e Ovest XIV
Europa Centro e Sud II
Europa Orientale XV
Maghreb e Sahara I
Centro Africa X
Africa Sud e Orientale IX
Medio Oriente VII
Asia Centrale e Nord III
India V
Cina IV
Estremo Oriente VI
Oceania VIII
Allora, per tutto quanto sopra detto in termini di cultura, di umanesimo e – tra le righe – di progresso di cittadinanza, da consigliere proporrò formalmente al Sindaco, alla Giunta e al Consiglio Comunale, che il (anzi: La) Comune di Roma istituisca una sorta di gemellaggio tra il territorio di ogni Municipio e la sua “corrispondente” area geografica, cosicché la città di Roma divenga “mappa” del mondo, “specchio dell’Umanità”, riflessione permanente e “cantiere” del processo globale della civilizzazione.
Roma Charta Mundi, quindi - charta, non certo l'anacronistico caput.
Ma “gemellaggio”in che senso?
Senz’altro nel senso che sul territorio di ciascun Municipio – e ovviamente di concerto con le rispettive amministrazioni municipali – il Comune favorisca la creazione e il mantenimento di occasioni e strutture idonee alla conoscenza ordinaria da parte dei cittadini, dei residenti, dei lavoratori e dei visitatori, della cultura (meglio: culture) della corrispondente zona del mondo
e delle famiglie umane che ne fanno (o ne hanno fatto) la storia: le arti, la letteratura, il cinema, la musica, le produzioni materiali, il cibo, lo sport, le tradizioni, le lotte, l’identità, i mescolamenti, le mode, i trionfi, i crolli, le speranze.
E inoltre, che si istituisca un “Festival Charta Mundi” della durata di un mese in ogni Municipio, durante il quale raggiungono l’apice l’apertura di nuovi spazi dedicati, l’arricchimento in contenuti di quelli ordinari, l’inaugurazione di manufatti permanenti che diventano da allora in poi patrimonio dell’intera città (a beneficio consolidato dell’economia, del buon vivere, del turismo migliore, dell’immagine di Roma del mondo) e l'inevitabile sinergia operosa tra l’amministrazione capitolina, le comunità straniere o migranti già presenti in città, e le accademie e le ambasciate e consolati dei Paesi appartenenti alle macro-aree geo-culturali di volta in volta interessate dal Festival.
Per l’intero anno solare - non solo nell’Estate Romana.
E in tutto il territorio cittadino - non solo al centro.
Nella mia proposta, la “rotazione” dei Festival tiene più possibile conto di un “realismo” utile ad associare i mesi della meteorologia romana con le fasce geoclimatiche dei continenti, e tiene conto anche del fatto che essendo quindici i Municipi –ma dodici i mesi – in effetti in ciascuno dei tre mesi estivi (più turisti in città, più residenti “in giro per svago”) si svolgeranno due Festival simultaneamente.
Ma ecco lo schema:
gennaio Mun.XIV Festival Charta Mundi dell’Europa Nord e Ovest
febbraio III Asia Centrale e Nord
marzo XI Sud America
aprile IV Cina
maggio VIII Oceania
giugno II Europa Centro e Sud
“ V India
luglio VII Medio Oriente
“ X Centro Africa
agosto I Maghreb e Sahara
“ XII America Centrale
settembre IX Africa Sud e Orientale
ottobre VI Estremo Oriente
novembre XV Europa Orientale
dicembre XIII Nord America
Questa, la mia “visione” della Roma che viene.
Che ovviamente richiede un’implementazione globale di investimenti, priorità, risorse, servizi, organizzazione, metodiche, collaborazioni, abitudini. Non facile, non m’illudo.
Tuttavia, se a realizzarla, non si registrasse “a regime” un profitto secco di umanità complessiva, dagli infiniti e benefici effetti su tutto, cose e beni e immagini e valori e uomini e donne e presente e futuro, io mi dimetterei non da consigliere – ove voi mi abbiate scelto per diventarlo – ma da uomo dotato di raziocinio e sentimento.
__________________________ Paolo Andreozzi